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Siamo una coppia d'artisti, marito
e moglie dal 1993; il nostro sodalizio è iniziato nel 1991. Condividiamo
da ormai più d'un ventennio la stessa vocazione per l'arte, soprattutto
per la scultura. Insieme realizziamo opere comuni dove come opera si
può intendere ogni manufatto che contemporaneamente dà
nutrimento e letizia all’intelletto e procura diletto ai sensi.
La scultura come disciplina comprende
un'attività mentale (l'immaginazione) e un'attività di
trasformazione fisica e chimica dei materiali. Come adeguare la prima
alla seconda e viceversa?
Da sempre abbiamo rivolto un'attenzione
speciale al «come fare»; nostro cruccio è infatti
la padronanza dei modi e dei mezzi classici dell'arte della scultura.
Però abbiamo dedicato altrettanto studio al come estendere le
nostre conoscenze tecniche a campi inesplorati.
Sulla porta del nostro laboratorio potremmo appendere un cartello con
scritto : "Non nova, sed nove",
vale a dire non cose nuove ma in modo nuovo. Sarebbe come affermare
che una certa novità esecutiva non esclude la tradizione e viceversa.
L'artista, scultore o pittore è
in un primo momento un apprendista, un operaio che s'imbatte volente
o nolente nelle tecniche e nelle trasformazioni dei materiali. Certo,
la ricerca della forma poi s'innesta nel lavoro e si sa che senza forma
non c’è arte. Ma a maggior ragione, che dire allora se
dovessero mancare i materiali e il possesso di una certa manualità?
Ci può essere pensiero, parola e scrittura, ma non scultura o
pittura.
Banalità? Non ne siamo sicuri visto la tendenza odierna a confondere
l'essere con l'apparire, il reale con il virtuale, un'immagine ad alto
tenore in materia (per esempio una statua del Bernini) con la sua fugace
e impalpabile riproduzione elettrolumuniscente.
Siamo partiti da un'amara constatazione
: da lungo tempo le cosiddette «arti plastiche» o «visive»
sono entrate in una fase entropica, anche per rigetto snobistico del
"mestiere"; diniego che sottintende però una «disobbedienza»
che ha ovviamente cause di ordine storico, morale e filosofico-ideologico,
cause troppo complesse per essere trattate in una breve presentazione
come questa. Ciò non ci impedisce di affermare che al dovere
del mestiere, l'artista contemporaneo sostituisce purtroppo il diritto
supremo di materializzare il proprio soggettivo libero pensiero con
qualsiasi mezzo gli capiti tra le mani. Eppure è proprio la fedeltà
ad un «savoir-faire» che permette veramente di avanzare
e a volte di aggiornare il linguaggio scultoreo, senza rotture o concettualismi,
senza rotture rispetto ai canoni e alle tecniche usuali e senza ricercare
grandi discorsi per giustificare la propria imperizia o indolenza. Ovviamente
la maestrìa tecnica non deve diventare occasione per ostentare
la propria abilità ; dietro l'angolo il formalismo è infatti
sempre in agguato. La tecnica è solo un mezzo che serve l’ordine,
l’unità, l’armonia, la bellezza, la bontà,
la verità, tutte categorie trascendenti che fanno insomma l’opera
ben fatta.
In pratica, dal 1988 in poi,
abbiamo dovuto pazientemente riapprendere la «fisica dell’arte»
e con essa tutto quanto è stato decapitato durante un secolo
tumultuoso, agitato da movimenti, esperimenti e da avanguardie varie
che hanno rincorso ossessionatamente
la novità a scapito delle regole dell'arte. Con le sue regole
il mestiere è il gendarme dell’ego, è l’agente
del nostro equilibrio. Ci ha spinto ad acquisire una disciplina e una
mansuetudine che non avevamo per carattere (e che la scultura sia tutto
salvo che una crisi di nervi, lo diceva anche un moderno come Brancusi).
Abbiamo passato un lungo periodo
a conoscere i materiali (è un addestramento che dura tuttora).
Siamo arrivati un po' a conoscerli e perciò ad amarli, manipolandoli,
stimolandoli, provandoli per quello che sono, ancora prima d'essere
mutati definitivamente in sculture. Da questi esercizi preliminari sgorga
costantemente un flusso d’informazioni e possibilità plastiche
a cui attingere. Concretamente da tali esperienze risultano tanti primi
oggetti che custodiamo gelosamente e osserviamo lungamente ; li abbiamo
nominati "fermenti iconici". Non si tratta più di semplici
materie prime, ma già di "materie seconde" che hanno
acquisito un germe di forma e attendono che il processo artistico sia
portato a buon fine. Cosa interessante, questi abbozzi hanno sovente
tutta la bellezza che la natura sa conferire alla materia per azione
e manifestazione delle sue leggi interne.
Ma affinché il processo si
compia, il canale esperimentale deve tuttavia incontrare e ingrossare
il corso principale: quello mentale delle idee, canale parallelo che
deve irrigare il "cosa fare"; e senza buone idee che indichino
infine il bersaglio di tutta questa tensione che è il lavoro,
non c'è scampo per i materiali.
Q uando allora le due parallele per miracolo si toccano o s’incrociano
(paradosso per la geometria euclidea) il lavoro scorre verso una scultura
finita. Se essa sarà giusta, bella e appagante dipende molto
dalla qualità di questo scontro-incontro.
A noi tocca cercare sempre quel punto d’incrocio fra materia e
idea.
Ma come spiegare ciò oggettivamente, supposto che lo si possa
spiegare in poche parole?
Per intenderci, il nostro è un agire un po' differente dalla
prassi di chi si siede ad un tavolo e cerca un’idea con una matita
in mano e un bicchiere di irish whiskey nell'altra ; se l’acchiappa
decide dopo con che mezzi è meglio realizzarla ed eventualmente,
se è ricco, cerca pure gli operai che gliela realizzino. Questo
è un processo troppo lineare, da A a Z, si potrebbe dire un fare
da puri architetti moderni (non gli antichi che pur concependo intellettualmente
avevano comunque le mani in pasta).
Come detto sopra, siamo sollecitati principalmente dalla pratica e dall'esperienza,
ma dobbiamo ammettere che simultaneamente siamo anche mossi e guidati
dalla preghiera e dallo studio. A volte è la parallela dei materiali
che si flette verso quella delle idee e a volte il contrario.
Le idee (non indiscriminatamente tutte le idee, ma solamente quelle
purificate dall'orazione) da noi stentano a prendere corpo attraverso
una tecnica o un materiale di "routine". E' come se domandassero
l'unico e il meglio, non la routine. In effetti, come rendere bene un'
idea se per essa non si ricerca il meglio? A loro volta i materiali
cedono quello che hanno di migliore quando devono servire e onorare
il "Migliore", l'assolutamente Vero-Buono-Bello. Ugualmente
la nostra immaginazione deve adeguarsi alla ricerca dei tre trascendentali.
Se per i materiali reali questo perfezionamento non è che una
questione di scienza e tecnica, per le idee il compito è più
arduo: infatti come distinguere le buone idee dalle cattive, sapendo
bene che cattivo non è ciò che entra nella bocca e poi
torna alla fossa (la materia) ma quello che esce dal nostro "cuore",
ossia dalla mente e dall'anima?(vedi: Matteo15,11). Come vagliare e
domare l'immaginazione, vaso di Pandora di tutte le irreali scemenze
e nel contempo pozzo virtuale di beatitudine estetica? Come distinguere
i frutti buoni dai velenosi nel campo disseminato di grano e zizzania
che è l' equivoca immaginazione umana?
Il nostro vaglio - osiamo dire il crivello - è la fede nel Verbo
incarnato, il Logos divino generato dalla Mente del Padre, Gesù
Cristo che è il fulcro di tutta l'arte, l'Immagine da cui tutto
sulla terra è immagine.
Il nostro procedere è molto tortuoso e senza comode consolazioni:
un pallido riflesso di quella "arcta via" cioè "via
stretta" menzionata nei Vangeli. La sorgente delle idee zampilla
fuori del soggettivismo in uno spazio quasi extra-mentale, veramente
fuori : in mezzo a noi due, nei materiali reali che naturalmente ci
servono e parlano, nella grande arte che ci ha preceduti, nella Tradizione
della Chiesa e nella Scrittura e, cosa più rara, nell’ispirazione
che soprannaturalmente agisce con suggerimenti che ci sono donati per
grazia e a cui il nostro intelletto s’inclina. Ma quest'ultima,
cioè l'ispirazione non legata alla natura ma all'interiorità
della fede, richiede prudenza e un discernimento maggiore perché
è difficile valutare ciò che viene da Dio e ciò
che non viene da Lui.
Ricordiamo che sul capo della scultura pende una spada. Infatti lo
studio della storia della scultura vi confermerà che essa nacque
come strumento d'idolatria; questa "cicatrice" originale resta
indelebile; essa può in ogni momento riaprirsi ogni qualvolta
l'arte ancestrale della scultura rifiuta di essere ancella del culto
al vero Dio.
Ma buona volontà e fede non
bastano!
Ribadiamo:
se non si padroneggia un linguaggio, meglio tacere e darsi da fare per
padroneggiarlo!
E tentiamo pure un paragone: fare scultura per noi è un po' la
stessa cosa di uno che per enunciare un pensiero esatto cerca le parole
giuste e solo quelle parole, non quei quattro vocaboli che è
abituato a usare ; allora è obbligato a scavare tutta la sua
lingua e così scavando salva il discorso e magari salva anche
la lingua. Ricerca di verità che salva. Così e solo così
una lingua non muore e un linguaggio artistico non muore.
Chi siamo poco importa.
Siamo due persone che agiscono per ottenere un unico risultato finale.
Solo questo è importante. Rispetto all'immagine che ci si fa
oggi dell' individuo artista, genio solitario, una coppia che coopera
può apparire sospetta perché si presupporrà che
uno comanda e l'altro esegue. Invece qui si coopera.
Vediamo per primo come opera colei
che sembrerebbe non essere specialmente toccata dal cosiddetto (pomposamente)
"processo creativo" perchè è lui, l'altro, che
di fatto è scultore.
Sperimentando quotidianamente,Christine
ha scovato diversi procedimenti tecnici non usuali per l’arte.
Ripristinando l’amore per la prassi, qualche frutto è stato
raccolto e qualche invenzione c’è stata. In qualche anno
lei ha dotato lui di quanto mancava, vale a dire di un linguaggio plastico
personale, derivato dall’applicazione alla scultura di forme e
modi di natura fisico-chimica, frutto di pazienti indagini su metalli
e minerali.
Qualche esempio : nel campo dell'elettrochimica, gli scambi ionici di
ossido-riduzione possono dare nuova pertinenza al concetto del “mettere
e levare” della scultura classica, permettendo aggregazioni o
dissoluzioni di metalli in forma cristallina. Si tratta di « morfogenesi
metallica » in ambito scultoreo (vedi qui
alcuni esempi : «NOVITA'» capelli e barba di Cristo).
Lo studio della morfogenesi è un campo della fisica e della biologia
che cerca di capire per quali meccanismi una forma appare e si sviluppa.
Nel campo della metallurgia, certi modi di fusione favoriscono l'ottenimento
di cristallizzazioni. O ancora ... la pietra è lavorata non solo
come materia da taglio, ma in base a una gamma di aspetti più
completa cioè in relazione alla trasparenza, alla lucentezza
e al colore, al clivaggio, alla morfologia, ai sistemi cristallini,
alla solubilità, alla conduttività elettrica, ecc. Lo
studio delle patine metalliche fa parte anch’esso delle attività
predilette così come la ceramica e gli smalti per la scultura.
Metànoia: una visione
critica e sofferta dell'esperienza passata, accompagnata da una conversione
all'arte cristiana.
A partire dal 1997 e soprattutto
nel 1999 si precisa infine l’indirizzo attuale del nostro connubio
artistico: dopo lunga esplorazione (in chilometri e tempo), abbiamo
comperato nel 1999 la rovina di una chiesa: Santa Maria Maddalena, situata
sulla collina di un villaggio della Guascogna. Su questa “reliquia
di spazio sacro”, in quasi semi-eremitaggio, abbiamo fondato il
«Laboratoire», cantiere di restauro e rinnovamento artistico
dell’edificio religioso e poi il «Tabor laboratoire d’art».
Come ha scritto recentemente Christine Sourgins sulla rivista parigina
Écritique (n°11, pag.57), questa chiesa è come un
« atelier-coquille », un « laboratoire-oratoire »,
uno spazio sviluppato per secrezione dell’artista. L’esodo
per radicare la nostra attività artistica in aperta campagna,
in un luogo pregno però di densità simbolica e spirituale,
non è stato frutto del caso e neppure un ripiegamento su se stessi,
bensì una scelta meditata e sofferta, un vero progetto di vita.
C’è stato un vero cambiamento di rotta a fine anni Novanta
che si può spiegare come una metànoia, cioè una
conversione. Infatti i modi, le finalità e le ispirazioni del
fare scultura si sono manifestati secondo una prospettiva che mette
in relazione l’arte con la fede e l’iconografia cristiana.
Certamente l’influsso dell’edificio religioso è stato
determinante, ma tutto sommato i fermenti di questo mutamento sono da
ricercare già alla fine degli anni Settanta.
Ritorniamo allora alla fine degli
anni Settanta.
Un accenno di biografia.
Io, Fabrizio, ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Firenze,
scuola di scultura. Mi sono diplomato nel 1979. Erano gli anni dell'agonia
post sessantottina delle Accademie : la fine dell'epiteto "belle
arti". In quello stesso anno accademico 1979 ho frequentato il
corso di Storia dell’arte di Jole de Sanna († 2004).
Un anno dopo Jole de Sanna con una lettera mi invitò a venire
a Milano. Lì fui accolto nella piccola cerchia di giovani artisti
della « Casa degli Artisti ». Oltre a Jole de Sanna, due
erano le figure di spicco che dirigevano l’équipe milanese
: Luciano Fabro († 2007) e Hidetoshi Nagaswa. Sono tre persone
che ancora oggi a distanza di trent’anni ricordo con affetto.
Luciano e Hidetoshi sono due artisti intelligenti, e non a caso sono
tra i migliori maestri d’arte contemporanea dell’ultimo
cinquantennio. Per sette anni sono stato uno dei primi "allievi"
di Nagasawa e con la Casa degli Artisti ho partecipato alla Biennale
del 1982.
E’ complicato semplificare
in poche parole l’influenza di questa lunga formazione post-accademica
e altrettanto difficile è sintetizzare in poche righe ciò
che nel 1987 pose fine all’esperienza milanese. Ma qualche riga
va spesa.
Sta di fatto che dalla frequentazione quasi quotidiana di queste tre
forti personalità, ciò che mi ha marcato può essere
riassunto così : fu per me la presa di coscienza del fatto di
dover vagliare a ogni istante il grado di verità della mia vocazione.
Fu un profondo interrogarsi sul perché dell’arte, sul campo
di manovra dell’artista, sui modi e sui fini ultimi della scultura.
Ma che modello d’artista proponeva la C.d.A. ?
A mio avviso il modello di "artista unità di misura"
che intesse con le sue opere una specie di gnosi rincorrendo giustamente
la conoscenza; l’arte è conoscenza, è dare idee
facendo. Capitale è affinare tutti i mezzi di relazione con l’arte
del passato, la scienza e la filosofia e specialmente con la realtà
naturale. E fin qui niente di male. Referente privilegiato è
dunque la natura che però è concepita (ahimè!)
come Natura con la enne maiuscola: « natura naturans »,
natura auto-formatrice, supremo principio ordinatore quindi natura increata.
Ecco il punto dolens. L'attenzione nei confronti di forme naturali reputate
increate resta chiusa e dominata dall'antropocentrismo. La relazione,
da religioso-o-contemplativa diventa strumentale in quanto l’interesse
è rivolto al come la natura fa più che al come è:
come ben sosteneva Jole se Sanna , " tra Picasso e noi c'è
di mezzo una innovazione praticamente globale sul concetto di natura
che taglia fuori le possibilità della natura come immagine e
assume la natura come apparato funzionale dell'immagine (praticare i
modi della natura)."A livello prettamente artistico l'effetto ultimo
di questa visuale è quello di elaborare immagini autoreferenziali
; le opere, affrancate dal compito di rappresentare il reale, sono immagini
che tendono a porsi su un piano di rivalità con la natura. Sono
opere come seconda natura. Ecco che l'artista che basa la sua opera
sul naturalismo ateo, un giorno o l’altro può cedere alla
tentazione di porsi, lui medesimo, demiurgo, su un piano di rivalità
con Chi la natura l’ha creata (ciò è evidentemente
accettabile solo per chi crede che ci sia un Creatore).
Ma siccome quel Chi a Milano era assente - il problema di Dio Creatore
restava un non problema -, diciamo insomma che ho ereditato soprattutto
un modello d’artista-filosofo; «emulo» io aggiungerei.
Il che non è affatto trascurabile. Infatti devo riconoscere che
anche un tale modello può produrre opere pregevoli : opere che
potrebbero essere definite come riflesso di una spiritualità
immanentistica.
In parole povere, questa era la tendenza a Milano.
Se fossi rimasto lì a Milano, avrei dovuto restare nella logica
dei miti, delle religioni naturali, del materialismo spirituale o di
un certo panteismo razionale.
Nel 1987 questa via cominciava a non più corrispondermi. L’arte
diventava uno stress, un compito quasi prometeico. Insoddisfatto interiormente
vedendo l’arte isolarsi e servire esclusivamente se stessa, non
convinto da una visione metafisica la cui linea di orizzonte restava
pur sempre il perimetro dell’Immanenza, lasciai la metropoli lombarda.
Dal 1987 al 1991 mi presi una pausa...
digestiva e meditativa, restaurando con l’amico Claudio Cometta,
gessi risorgimentali, incorniciando quadri di altri e allestendo mostre…
sempre di altri. Claudio è passato al Padre prematuramente il
9 novembre 2015. Cappella ardente il suo (e anche un po' nostro) "Laboratorio
per l'arte".
Come scrissi altrove, lasciare Milano
fu un sacrificio doloroso ma salutare.
Oggi, con il senno di poi, posso
dire di aver segato un ramo su cui potevo adattarmi e sedermi comodamente.
Il distacco, ripeto, fu interiore, dell’anima e lo considero una
potatura per meglio saltare da un ramo all’altro, per dirla chiaramente
: dall’albero della gnosi artistica contemporanea all’albero
della vita artistica.
Come il mestiere è
il guardiano dell'ego, così il "cantiere" della chiesa
di Santa Maria-Maddalena è un bastione contro ogni deviazione
illecita della propria fantasia, lo scudo che respinge il canto delle
sirene, un riparo da se stessi e infine lo spazio che ispira il lavoro
e la preghiera. "Magdala" non vuol forse dire : torre?
Il nostro progetto attuale non si
ferma alla semplice salvaguardia di un edificio del patrimonio rurale.
Il restauro di vecchie pietre non è uno scopo in sè. L’obiettivo
di questo cantiere controcorrente rispetto al mondo dell’arte
non è esente da una certa audacia. Tutto parte da una deduzione
ovvia ma rimossa dalle coscienze moderne: che la Chiesa e tutte le chiese
sparse sul territorio, disertate o attive liturgicamente, sono la culla
della nostra cultura scultorea bi-millenaria. Potremmo persino dichiarare
che l'Ostia che viene consacrata liturgicamente è il "big
bang" dell'arte cristiana.
Il nostro contratto di proprietà (più giuridico che morale)
ci permette di compiere liberamente un atto simbolico, quello di dare
una chance a questo luogo di restare fedele alla sua originale vocazione
religiosa. Le opere che esso contiene o conterrà che suscita
o susciterà, si spera possano dare testimonianza di questa fedeltà.
Per rivenire all’immagine di secrezione organica della propria
dimora, è vero che gradualmente con il lavoro stiamo condensando
qualcosa. Quella cosa non è uno spazio mitico, non è un
habitat artistico, non una vetrina, insomma non è un contenitore
di sculture. Per usare ancora una metafora, stiamo equipaggiando un
« veicolo » puntato all’Insù. Non più
puntato nell’antico cielo dei pagani o nel moderno cielo vuoto
degli indifferenti.
La nostra liberta è paradossalmente quella di non avere
più completa libertà rispetto all’itinerario e alla
rotta di questa navicella: siamo solo il personale di bordo senza esserne
i piloti. Cristo è il Pilota.
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